C’era una volta il calcio italiano è il titolo del nostro pezzo, all’indomani della disfatta della nazionale di calcio allo spareggio per accedere ai mondiali 2018 di russia. Una volta non esistevano le scuole calcio, si giocava ore ed ore nei cortili, per strada e nelle parrocchie.
Per accedere ai settori giovanili importanti dovevi sostenere tanti provini tra migliaia di giocatori e se eri bravo, venivi selezionato da tecnici di qualità che facevano questo per professione e venivano ben pagati perché dovevano portare un valore aggiunto alle società.
Questi settori giovanili avevano tutti giocatori locali, e quindi con una grossa appartenenza alla maglia e al territorio e ne mantenevano la proprietà per sempre detenendone il cartellino e il capitale.
Ogni anno alla fine della stagione calcistica venivi giudicato come a scuola, se eri migliorato, eri riconfermato per l’anno successivo, altrimenti ti svincolavano (principio di meritocrazia basilare che andrebbe sempre applicato).
Non esistevano genitori che rompevano le scatole pensando di avere dei figli fenomeni ed il movimento dei procuratori era inesistente. Le società gestivano tutto perché, appunto c’era la proprietà del cartellino. Questo modo di agire e di vivere ha creato nel tempo tantissimi campioni di cui l’Italia andava fiera. Ma è una bella favola “ c’era una volta” e forse quando uno racconta certe cose vuol dire che è diventato vecchio.
C’era una volta il calcio italiano, appunto!
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